“Rosarno…e poi?”, contro il caporalato

SALERNO - 2 Ottobre 2015

"Stacca la spina al lavoro nero", parte da questo slogan il progetto “Rosarno e poi”.

Un percorso lungo e difficile che ha visto in prima linea l’Associazione Consiglio Italiano per i Rifugiati Onlus (CIR) in rete con altre associazioni, istituzioni, organizzazioni. Servizi sanitari e di assistenza legale, percorsi di integrazione e mediazione culturale per i tanti migranti che affollano all’alba le strade di Casal di Principe, Castel Volturno, della Piana del Sele e di Capaccio alla ricerca di un lavoro e di una paga. Una paga misera – 10, al massimo 25 euro al giorno per 8/10 ore di lavoro – e nessun dialogo, diritto, alcuna tutela, spiraglio di integrazione o sicurezza delle condizioni lavorative. La risposta a tutto questo è il silenzio, perché un’alternativa migliore non c’è.

“Rosarno e poi” attraverso i suoi sportelli ha garantito sostegno socio-legale a 2.500 persone. Più di 130 migranti hanno ricevuto aiuto nella ricerca di casa e per accedere alle cure mediche, altri 50 hanno potuto iniziare un percorso professionale “pulito”, con contratti di lavoro regolari, tirocini formativi in hotel e aziende agricole, corsi di formazione per l’avvio di microimprese, per operatori socio – assistenziali, pizzaioli.

Grazie al progetto, sostenuto dalla Fondazione CON IL SUD, tanti migranti stanno costruendo con positività e fiducia il proprio futuro.

Tra le tante storie, quella di un giovane 29enne ghanese, arrivato nel nostro Paese nel 2008, che racconta così la sua esperienza: “L’Italia non mi ha accolto come immaginavo e presto mi sono ritrovato a fare il bracciante agricolo a Rosarno, a Caserta, a Salerno, nella Piana del Sele o ancora nel Cilento. Ho abitato in case abbandonate in mezzo alla campagna, nelle tendopoli allestite per ospitare i tanti lavoratori stranieri come me, ho pagato per dormire su pavimenti sudici e sempre ho rimpianto casa mia”. 12 ore di lavoro sotto il sole cocente, nessuna pausa pranzo, né giorni liberi. “Dormivano come animali, ci insultavano chiamandoci cavalli. Anche la paga non arrivava mai. Eravamo stremati, ci sentivamo umiliati e senza vie d’uscita”. Così, la decisione di denunciare. “Uno di noi si era già rivolto al Centro Sociale Ex Canapificio di Caserta e ci ha convinti ad andare a raccontare la nostra storia per capire cosa fare. Ci hanno spiegato che eravamo stati vittime di sfruttamento lavorativo e per questo in Italia c’è una legge che ci può tutelare. Abbiamo ottenuto un permesso di soggiorno di sei mesi che poi ci è stato rinnovato per un anno. I nostri datori di lavoro sono stati condannati”. Grazie al progetto “Rosarno… e poi?” sono state coperte tutte le spese legali e il ragazzo, insieme ai suoi compagni, ha trovato accoglienza presso il Centro della Caritas. “Oggi con tre dei miei amici ho ottenuto una borsa lavoro per un tirocinio formativo. Lavoro in una cooperativa sociale di Casal di Principe che fa agricoltura biologica su terreni confiscati alla camorra. Quando finirà il periodo di tirocinio dovrò cercare un lavoro, ma mi sembra che la mia storia possa ricominciare da qui”.

Articolo pubblicato sulla newsletter cartacea della Fondazione disponibile qui

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